LA BUROCRAZIA NELL’EUROPA INTEGRATA

burocrazia

La crisi generata dal Covid19 ha rimesso al centro delle cronache giornalistiche un tema molto antico: il ruolo e il potere della Burocrazia. Soprattutto in Europa, dove gli scettici appellano le istituzioni comunitarie col termine di “euroburocrati”, a causa della prolifica legiferazione di procedure, protocolli, normative tecniche e parametri che spostano sempre più il peso specifico dell’attività esecutiva/amministrativa verso l’insieme di uffici e funzioni che, centralizzati o a livello locale, gestiscono la Res Publica europea. Tanto da costituire ormai un potentato organizzato e massivo, apparato di potere che si presenta compatto, gerarchizzato, consolidato nei suoi riti codificati, impenetrabili ai non addetti, che assume una parvenza quasi sacra innanzi al cittadino. E il motivo di tutto ciò è storico e strettamente connesso alla storia dell’integrazione europea.

Sin dalle più antiche civiltà mediorientali che nell’Egitto dei faraoni, tavolette d’argilla o papiri venivano utilizzati per registrare dati della contabilità di stato, fiscali, anagrafici e censimenti, nonché i depositi dei beni primari stipati negli empori pubblici, che formarono le basi della Burocratia e del suo rapporto biunivoco con la testualità codificata. Quei modelli divennero una prassi liturgica nell’Impero universale di Dario I, il quale mise in atto importanti riforme fiscali e amministrative (Satrapie), in seguito ereditate da Alessandro “magno” e dai regni diadochici.

Esempi che anche Roma imitò: già la Res Publica, militarizzata e fondata sul censo e sulle centurie, si affidava agli esecutori delle leggi/decisioni del Senatus, dei Comitia e dei Magisters nonché agli esattori dei tributi (publicani) conservando documenti e atti burocratici nel Tabularium. Fu Claudio a istituire le Cancellerie, organi ausiliari legati all’Imperatore da “uomini di fiducia” scelti personalmente per amministrare la finanza, la giustizia, le comunicazioni e gli archivi di stato del Princeps. Adriano, poi, fondò la Res Publica Universalis organizzata in base a leggi romane (Ius Publicum) e gestita da una Burocrazia professionale, legata all’Imperatore dal vincolo di fedeltà e da nomina personale.

In epoca imperiale tarda, la figura del Princeps divenne simile al monarca assoluto di tipo ellenistico-persiano, posto al vertice di uno Stato universalistico e gerarchico e di un regime burocratico-militare a carattere dinastico e divino, che si incarnava nella sua sacra persona (Augustus). Con la Tetrarchia e il Colonato, il cives romanum divenne legato alla terra dove risiedeva, motivo per cui doveva versare un contributo fisso annuo all’Aerarium statale. Poi con la riforma di Costantino I (325 d.C.), l’Imperator divenne il centro di un vasto sistema burocratico-giuridico (Dioecesis): nel Diritto romano, esso rimaneva l’unico titolare del diritto-potere di emettere le leggi (Lex Regia) e di coniare la moneta aurea, posto al vertice della Ecclesiae Christiana e del Funzionariato imperiale che amministrava per suo conto ogni lembo dell’Imperium (vedi articolo).

L’Impero bizantino ereditò per intero civiltà, diritto, sistema amministrativo e forma dell’Impero romano e, col prevalere del potere militare, la Corte palatina assunse un ruolo dominante sulle altre classi sociali, sicché i funzionari disseminati su tutto il territorio imperiale e legati direttamente al Basilues assommarono autorità e giurisdizione sempre crescenti (Officia Imperium). In Pars Occidens la funzione amministrativa fu altresì essenziale a costruire i nuovi regna romano-barbarici, assegnata nel generale accordo alla classe dei latifondisti di origine romana/locale, in quanto erano già conoscitori della materia e stabilmente insediati sul territorio (Comes).

Così, il sistema di potere romano-bizantino fu trasmesso all’Impero carolingio, che ne imitò le figure giuridiche e i ruoli, istituendo Balivi e Signori locali sulla falsariga del modello costantiniano: a costoro furono affidati i “poteri di banno” utili ad esercitare quelle funzioni esecutive/fiscali un tempo in mano ai burocrati imperiali, grazie all’ausilio delle Schole e dei monasteri benedettini, che nel Medioevo assolsero alle funzioni di registro, anagrafe e deposito dei documenti giuridici “pubblici”. Fu Carlo “magno” a recuperare la tradizione classica fondando la Schola Palatina, mirata alla formazione giuridica dei governatori dell’Impero (Conti Palatini, Missi dominici, Conti) ed alla diffusione del latino e dell’antico diritto romano, quali strumenti di redazione degli atti amministrativi (fu persino elaborato allo scopo un particolare stile ortografico noto come “carolino”).

Da quel momento, per tutta l’epoca medievale e rinascimentale, nel Reich e nei vari regni diventati sovrani e dinastici, il modello amministrativo-burocratico carolingio e ancor più quello romano-bizantino furono l’esempio utile a disegnare lo “stato moderno”, fondato sulle autonomie locali, sulla legge e sulla burocrazia. Ciò avvenne nel Regno d’Inghilterra sin dai tempi di Alfredo I “il grande”, nella Francia dei Capetingi e nella Sicilia di Federico II (Constitutio Melfitane, la prima Costituzione statale di ogni tempo!), nella Polonia di Casimiro “il grande” (Starosta) e nello Zarato russo di Ivan III, erede della tradizione giuridico-burocratica dell’Impero bizantino.

Il modello centralizzato e autonomista della gestione pubblica europea era consono alla società pressoché bloccata intono alle antiche classi sociali, all’agricoltura e ai codici giuridici/comportamentali medievali ispirati al Cristianesimo e alla fedeltà al Dominus. Con l’avvento della Castellania si ebbe l’evoluzione dalla Signoria fondiaria, sorta sul diritto di proprietà/possesso del feudum cui erano associati doveri/poteri di protezione/amministrazione del contado, ampliati dalle funzioni giurisdizionali e politiche assegnate al Signore locale, nonché dai poteri fiscali, giudiziari e di ordine pubblico concessi dal Re col “diritto di banno”. Altro cambiamento decisivo si ebbe coi Comuni e le relative autonomie politico-giuridiche, nate sul principio solidaristico e dall’alleanza fra Cives (ad conjuratio), orientati a gestire in modo equanime i poteri amministrativi e militari loro concessi (regalia jura) per mezzo dell’assemblea dei liberi cittadini (Concilium).

Due riforme che, diremmo oggi, spinsero verso la decentralizzazione del potere, nel momento in cui la formula Rex Imperator in regno suo est diveniva il fondamento della regalità europea: l’estensione della sacralità del Rex nel culto e nella burocrazia permetteva di creare una struttura giuridica gerarchizzata/centralizzata, sottoposta alla guida del Rex-Signore, cui dovettero adeguarsi tutti i vassalli e i sudditi. Il “principio monarchico” informò i regni europei grazie al sempiterno Diritto romano, che fornì la materia utile all’elaborazione dei concetti di Patriae e Corporation, necessari a ridefinire le istituzioni pubbliche costitutive dello Statum quali la tassazione pubblica annuale (perpetua necessitas), la difesa perpetua della Patria (necessitas in habitu), le relazioni diplomatiche permanenti, la politica estera. Tanto che nell’Inghilterra dei Tudor [XVI secolo d.C.] sorse un regime centralistico con forti tassazioni e limitazioni ai poteri del Parlamento (tendenza tipica dell’epoca) e vide emergere i primi consiglieri politici fedeli al Re (Ministers), ossia gli attuali ministri del governo.

Con l’avvento del Diritto statuale [Ius proprium, dal XIII secolo d.C.], peraltro, i vari regni dinastici fecero della “legge positiva” l’espressione della volontà (o del piacere) del Sovrano assoluto: nella “gerarchia di fonti” del Diritto positivo si annida il potere democratico elitario tipico, ove l’ordinamento giuridico diventa lo strumento con cui manipolare l’ordine socio-politico e fornire alla società civile “proprie” leggi comuni arbitrarie. Tuttavia, nel Rinascimento, con la retorica del “uomo nuovo” ispirata all’etica pseudo-cristiana laica, propagata dalla Protesta religiosa e dal “progresso” delle novità scientifiche, si formalizzarono in Europa (dal XVIII d.C.) in poi le Costituzioni “concesse” dai sovrani, il cd. “stato di diritto”, le libertà personali dei sudditi, la divisione dei poteri politici statuali, l’istituzione permanente degli “stati generali” e la cooperazione fra lo Stato e i soggetti privati. (passò alla Storia come “riforme illuministe”). Gli esempi più celebri sono: il modello burocratico-militarista improntato a metodi scientifico-matematici attuato nel Regno di Prussia da Federico II “il grande”; che ispirò lo Zar Pietro I “il grande” nel trasformare la Russia in Impero, con una riforma che cambiò il regime politico-giuridico in stato assolutista; sulla falsariga del modello “colbertiano” approntato da Luigi XIV in Francia, secondo linee organizzative in senso autocratico, costituzionalista e laico.

L’Italia adottò il modello centralizzato della Francia (durante uno dei tanti “giri di valzer” del Regno di Sardegna) nel XVIII secolo d.C., ereditato in seguito dal Regno d’Italia e dalla Repubblica Italiana. Negli ultimi decenni è stato introdotto il metodo tedesco di “efficienza” (eredità prussiana), separando la sfera politica da quella esecutiva in modo da informare l’intero procedimento amministrativo ai principi del decentramento e della semplificazione. Adeguando così la P.A. italiana a quella comunitaria, a sua volta costruita sul modello burocratizzato tedesco e sul Welfare State inglese (Anni Sessanta), aggiornato alle recenti innovazioni tecnologiche e procedurali previste dal “civil servant style” tipico delle organizzazioni globaliste. L’Europa orientale, per decenni inserita nel sistema sovietico bloccato verticistico e “dirigista” in mano alle élite burocratico-partitiche, con la “caduta del Muro di Berlino” si è convertita all’acquis communitaire del Diritto dell’UE.

Oggi, un sistema centralista, burocratizzato, formale, basato sull’informatizzazione digitale e sul “principio di sussidiarietà” costituisce l’Unione Europea, come gran parte degli ordinamenti giuridici degli stati europei, mettendo sempre più in disparte la “politica” e l’aspetto umano nelle relazioni sociali e istituzionali. Perseguendo un’integrazione nel segno dei uno Stato unitario che ancora non esiste e del “distanziamento” progressivo dalla cittadinanza europea.

 

Per comprendere meglio questo articolo è utile consultare le Appendici al Libro prodotte dall’Autore, che trovi nel Catalogo, e le Cartine Storiche De Agostini allegate al saggio.

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