Nell’articolo precedente ho indicato come possibile punto d’inizio della storia dell’integrazione europea la lotta per l’indipendenza dei Greci dalla minaccia persiana-orientale, che permise di stabilire un confine noto all’Europa e farne quindi un soggetto politico autonomo. Seguì quindi l’epoca dell’Impero romano e la sua influenza sull’Europa Unita.
Certamente, in età precristiana il continente europeo era ancora una landa in gran parte disabitata, sommersa dai mari o ricoperta da ghiacciai e foreste secolari, quasi del tutto ignoto alle civiltà mediterranee che, invece, già da vari millenni popolavano le coste dei “mari caldi” del Sud.
Una delle regioni a maggior densità abitativa era la penisola italica, dove da oltre un millennio convivevano alcuni popoli dall’origine distinta o comunque poco nota. L’intero arco appenninico aveva visto l’insediamento dei “popoli italici”, perlopiù adusi alla pastorizia e alla forgia dei metalli, figli della Antigua Mater adorata un po’ ovunque nel Mar Mediterraneo, convivevano con gli Etruschi, dominatori del Mar Tirreno che da loro prendeva nome, con i coloni della Magna Grecia nel Meridione, con gli Illiri e i Veneti sulle coste adriatiche e coi Celti nella Pianura Padana.
Leggenda vuole che in mezzo a quelle civiltà andarono a insinuarsi altre etnie di vaga origine dorica, ossia i Romani, i Latini e i Sabini: proprio queste tre gentes si unirono, nel V secolo a.C. a costituire la Res Publica della città-stato di Roma, mediante il Foedus Cassianum (496 a.C.). Un trattato che stabiliva l’accordo permanente per amalgamare i tre gruppi sociali e politici intorno alle figure dei Magisteres e dei Consules (gli amministratori annuali degli affari interni) nominati e coordinati dal Senatus Patricius, in rappresentanza delle famiglie che avevano fondato Roma nel 735 a.C., e dai Concilia Plebis, l’assemblea dei cittadini-soldato del Popolus.
Un’organizzazione del potere che rispecchiava la struttura sociale divisa fra ricca aristocrazia terriera (Optimates) e la massa dei contadini/artigiani (Populares), reggendo le sorti di Roma fino all’avvento dell’Impero Cristiano nel V secolo d.C.! Nella prima classe erano incluse le Gens patrizie che conosciamo dalla storiografia e dalla letteratura classica romana, mentre nel secondo gruppo vi entrarono tutti i popoli e le tribù che Roma sconfiggeva e sottometteva.
Perché l’Urbs romana fu, sin dall’inizio della sua storia, una città militarista e impegnata ad espandersi in tutte le direzioni, a discapito delle civiltà e dei popoli che trovava nel suo incedere. Nei primi tempi, Roma era circondata da numerose tribù italiche, collocata al centro dell’ordine internazionale del mondo antico spartito fra la talassocrazia cartaginese, la forza coloniale greco-macedone, la potenza economica etrusca e la pervasiva civiltà celtica.
Dopo essersi costituita in repubblica (509 a.C.), liberandosi del giogo etrusco, alleatasi ai popoli socii che di volta in volta federava con trattati di pace o di amicizia, Roma divenne il fulcro della potenza militare più famosa della Storia umana. Infatti delle sue Legio si parla da sempre, sia in termini romanzeschi, sia per l’impareggiabile capacità bellica e di organizzazione logistica, studiata ancora oggi nelle principali Scuole di Guerra del mondo. Poiché in ogni contingente militare si univano coese le varie parti sociali e politiche, che sul campo di battaglia combattevano fianco a fianco proteggendosi l’un l’altro nel nome e per la gloria romana (S.P.Q.R.).
Non mancarono certo le sonore sconfitte, quali quella subita dai Celti Senoni che aprì la strada al sacco di Roma del 390 a.C. ordinato dal condottiero Brenno. Episodio che segnò per sempre la coscienza romana: come fu nel caso dell’invasione dei Cartaginesi guidati da Annibale, che dopo aver debellato le ultime legioni a Canne (216 a.C.) si apprestava ad invadere la città indifesa. Mentre rimase memore la debacle alle Forche Caudine (321 a.C.), quando l’astuzia e la migliore conoscenza del territorio consentirono ai Sanniti di accerchiare e umiliare le truppe romane.
Un’abilità dei Romani era quella di apprendere lezioni dalle avversità e saper trovare la soluzione utile per superarle. L’altra era quella di alternare l’uso della diplomazia e del diritto alla guerra, riuscendo così a fronteggiare vari nemici pericolosi/sconosciuti, prima di poterli definitivamente sconfiggere. Insieme all’insuperabile strategia militare, sia nella tattica in battaglia, che nella prassi difensiva/offensiva, furono gli elementi che portarono Roma a sottomettere tutte le civiltà mediterranee sotto la sua legge, il suo potere militare e il suo ordinamento amministrativo. Definendo il Nuovo Ordine Internazionale.
E una volta annessi alla Repubblica Romana, tutti i popoli italici, greci, illirici, epiroti, macedoni, etruschi, liguri, sardi, siculi e cartaginesi (nel II secolo a.C.), i Romani consolidarono i domini attraverso i commerci, la rete stradale e la disposizione delle legioni nei siti strategici del vasto territorio, che ormai andava dal Mar Nero allo Stretto di Gibilterra. L’accresciuta ricchezza che sbarcava nei porti di Anzio o di Brindisi, diretta verso l’Urbe Aeterna, spinse i Plebei a rivendicare migliori condizioni sociali e maggiore potere politico, fino ad accendere la guerra civile che sconvolse l’emergente città-stato per quasi un secolo.
Col senno di poi, quel duro conflitto interno rese Roma ancora più forte e le permise di allargare ulteriormente i suoi confini all’Anatolia, al Medio Oriente e all’Egitto. Che divennero floride fonti di ricchezze e di risorse primarie per i cittadini romani (esentati da qualsiasi tassazione), nonché il Limes orientale da non superare per non incorrere nella sempiterna potenza militare e politica dei Parti.
Così, con l’avvento al potere della Gens Julia (che vantava di discendere da Venere), i Romani rivolsero lo sguardo ad Occidente e iniziarono a conquistare le sterminate lande poste oltre il “mondo conosciuto” dall’antichità. Perché sin dai tempi di Ercole e di Ulisse, l’Europa era considerata una landa occulta abitata da popolazioni quasi del tutto ignote, ad eccezione dei Celti. Che invece rappresentarono “la” civiltà continentale più diffusa ed evoluta dell’età precristiana.
Fu Cesare ad avviare la conquista delle Gallie, ossia di tutte le terre a settentrione del Rubicone, per motivi politici e di orgoglio personale, includendo infine i Celti sconfitti ad Alesia (52 a.C.) nella vasta Repubblica federale di Roma. Dopodiché, fu Augusto a completare la conquista dell’Iberia, annettendone tutte le tribù al Principatum (anche se alla Storia è passato come Impero Romano). A cui seguì l’occupazione delle Alpi per opera di Tiberio e delle terre ultra-Limes da parte di Germanico, fino ad annettere la Frisia e l’intera valle fluviale del Reno e la Svevia nell’Imperium. Infine, Claudio ordinò la campagna di Britannia che sancì l’inclusione dei popoli locali nel dominio romano.
Da quel momento iniziò la grande opera di “romanizzazione” delle immense terre e innumerevoli tribù sottomesse, ad opera dell’Impero romano, perlopiù mediante la fondazione di nuove Civitas, o di Castra, o ancora di Colonie, ove vigeva la lex romana e il potere d’imperio di Roma. Che inviava Governatori, intere famiglie senatorie, coloni-soldati italici, ai quali concedere terre e diritti, collegate alla capitale e al resto dell’impero dalla rete stradale-marittima in via di sviluppo.
Con le successive imprese di Traiano in Dacia e di Marco Aurelio in Pannonia (II secolo d.C.), venne definito anche il Limes orientale lungo il corso del Danubio, includendo stabilmente nell’Impero romano tutta l’Europa balcanica, che fu colonizzata e civilizzata con la stessa politica attuata nei confronti dei “popoli barbari”. Termine che ritornò spesso a partire dalla metà del III secolo d.C., quando popolazioni germaniche, gotiche e sarmatiche iniziarono ad attaccare le difese romane lungo il Limes, ottenendo così ben presto un Foedus all’interno dell’Imperium o instaurando rapporti di tipo commerciale/diplomatico stabili, che contribuirono ancor più a diffondere la Romanitas in Europa. Ma rimasero ben distinte dai Romanorum, ossia dai Cives dell’impero che avevano ricevuto la cittadinanza universale nel 212 d.C..
La Civilitas romana era, da sempre, lo scopo principale delle conquiste delle Legioni e della colonizzazione ovunque giungessero, il vero mezzo per l’integrazione dei nuovi popoli nell’Impero romano e nella grande Oykumene europea. Un sogno ereditato dall’impresa di Alessandro “magno” e fondata sull’esempio dell’Impero persiano ed in seguito sulle Diadochie greco-macedonie, che avevano consolidato la cultura greca nel Mediterraneo. Di cui anche i Romani erano divenuti portatori e prosecutori (traditio). Dando così continuità alla storia dell’integrazione europea di cui parlo nel mio saggio proprio attraverso l’espansione dell’Impero romano.
Leggi quest’opera di Santo Mazzarino, luminare e docente della Storia Romana, che affronta i grandi temi della civiltà occidentale, dal saeculum Augustum alla fondazione degli Stati romano-barbarici nel V secolo d.C., in una sintesi che salda la storia dell’Impero a quella della Chiesa cristiana e delle gentes barbariche che abitavano l’Europa.
Tutto l’argomento della Cristianizzazione dell’Europa è trattato in modo approfondito nella Parte III del Libro. Per farsi un’idea più completa degli schemi genealogici e dei rapporti fra le casate e i regni/paesi europei vi invito a visionare le Appendici: un supporto utile a capire la storia dell’integrazione europei e le origini e radici dei popoli e degli Europei. Potrete aiutarvi anche consultando le Cartine storiche originali De Agostini allegate al fondo del libro. Approfondire l’argomento e l’intera materia consultando il Catalogo.
Vedi articolo precedente / successivo