I POPOLI D’EUROPA

popoli europei

I popoli europei sono i protagonisti della storia dell’integrazione europea: a loro si è ispirata una delle proposte politiche per realizzare l’Europa Unita, tema oggi più che mai al centro dell’agenda politica internazionale anche per la guerra in Ucraina. Conflitto che, oltre ad incidere sul futuro d’Europa, ha provocato l’ennesima frattura fra gli Europei riproponendo una questione che ha percorso l’intera storia d’Europa, quella terra “promessa” loro dagli Dèi sin dalle origini più remote.

I popoli europei sono numerosi, raggruppati per macro-famiglie cui corrispondono le principali lingue parlate ancora oggi nel continente: da quelle “romanze”, in riferimento all’area della Romània che fu parte per secoli dell’Impero romano, alle lingue germaniche, diffuse nella Magna Germania in Scandinavia e Gran Bretagna, fino alle parlate slave che risuonano in tutta la Pianura Sarmatica e nei Balcani, dove si mescolano alle lingue ugro-finniche, utilizzate sia in Ungheria che in Finlandia/Estonia, agli idiomi baltici, al greco e all’albanese.

Oltre a questi gruppi linguistici principali, che identificano una dimensione nazionale storicizzata, esistono molti altri idiomi locali ereditati da civilizzazioni antiche (o autonome), quali il basco, il galiziano, l’asturiano, il catalano, il guascone, l’occitano/provenzale, l’arpitano, il ladino, il toscano, il corso, il sassarese, il sardo, il siciliano, il bretone, il gaelico, il frisone, il vallone, il fiammingo, l’alsaziano, il lappone, il romando e il retico: si tratta di dialetti tradizionali legati alle comunità storiche, ma limitati ad ambiti locali, cui è riconosciuta una valenza assoluta e anche giuridica negli stati di appartenenza.

Gli studi approfonditi su tutte queste lingue/parlate hanno stabilito che esistono delle relazioni con la famiglia etnolinguistica indoeuropea, che le comprende quasi tutte (ad eccezione di basco, ugro-finniche, lappone, le parlate uraliche della Russia e il maltese). Da questo punto fermo muovono quei progetti di integrazione europea che hanno sempre tenuto conto delle diversità, specialità, differenze fra le “nazioni” europee, discendenti dalle tribù che da sempre popolano l’Europa e hanno sviluppato lingue/idiomi, usi, costumi, tradizioni, leggi, istituzioni e carattere storico tuttora ben vivi e praticati, ossia identificabili. Un complesso poliedrico che è tipico della cultura-base degli Europei, che ne qualifica anche l’elemento etnico, ossia l’Indo-europeismo d’origine vedica che è un argomento del libro (vedi la Parte IV del sommario).

Gli Europei han prodotto una cultura strettamente legata al Mito e alle religioni d’origine orientale, area da cui la gran parte dei popoli europei proviene pur distaccandosene storicamente nel V secolo a.C., come esito delle Guerre Persiane, fissando il confine naturale sull’Ellesponto a dividerli dagli Asiatici (dato consolidato nelle “cartine medievali T-O”). Infatti, la caratteristica propria degli Europei è sempre stata lo spirito di libertà nella molteplicità, pur nella morale che si riverbera nella propria civiltà e coscienza sviluppata, nell’innato eterno genius loci, nella lex romana e nel logos greco, infusi nel Verbum cristiano, radicato nella dottrina ortodoxa e nello ius europeum et communis, consolidatisi infine nella cultura umanistica che, in seguito, ha definito i valori comuni europei (fra cui i diritti umani) su cui fondano le Comunità Europee del mercato unico e la stessa UE (o perlomeno dovrebbe…).

Ma tale omogeneità linguistica, culturale e giuridica è frutto esclusivamente della storia dell’integrazione europea oppure ha radice comune nelle ritrosie del tempo? (È stato il senso della ricerca da cui è scaturito il libro ed è uno degli aspetti analizzati nel saggio)

Stando agli studi disponibili, non si vede spuntare alcuna Europa dalla preistoria: la nascita dell’agricoltura è avvenuta in Asia e l’unico fenomeno comune ai popoli europei attuali durante l’età preistorica fu la presenza, un po’ ovunque nel territorio europeo (fino a 35.000 anni fa) dell’uomo di Neanderthal. Che però si distingue per gli insediamenti all’aria aperta, fuori dalle grotte, per un embrione di idee religiose e per le pratiche funerarie, nonché per lo sviluppo dell’arte rupestre. Solo all’epoca della cultura di La Tène (verso la metà del V secolo a.C.), tre popolazioni di diverso tipo portano la propria civiltà in Europa e vi lasciano un’eredità: gli Sciti, i Celti, gli Iberi hanno dato il loro contributo alla civiltà comune europea che è stato di importanza comparabile a quella dei Greci e dei Romani (o Itali in generale), come lo storico polacco K. Modzelewski (“L’Europa dei barbari”) ha recentemente dimostrato.

Ma dunque chi sono gli Europei e che origini hanno? Recenti studi che incrociano il genoma di alcuni fossili di uomini vissuti tra i 7mila e gli 8mila anni fa, rinvenuti tra la Germania e la Svezia (nell’area del Gothaland, che fu terra-madre dei Germani e dei Goti), con quello di circa 2mila persone viventi oggi, delineano il genotipo dei popoli europei moderni dalla pelle chiara e gli occhi azzurri, risultato del mix di tre differenti popolazioni: i cacciatori/raccoglitori dell’Europa occidentale (nel libro li definisco “popoli megalitici”), che sono gli antenati di tutti i Celti; una popolazione nomade di nord eurasiatici correlata con il Siberiano del Paleolitico Superiore, ossia gli Slavi; e i più recenti “invasori” dediti all’allevamento e provenienti dal Vicino Oriente, individuati negli Iberi, Italici, Greci, Traci e Illiri, nonché nei popoli germanici/scandinavi.

L’aspetto dei primi è pressoché sparito negli Europei moderni, dove invece prevale la caratteristica di quei popoli allevatori/agricoltori di provenienza orientale dotati di pelle chiara e capelli e occhi scuri, comunemente detti IndoEuropei (il racconto dell’evoluzione di questi gruppi in Europa è descritta dettagliatamente nel libro). Lo stesso studio rivela, inoltre, che gli antichi popoli allevatori/agricoltori e i loro discendenti europei hanno ascendenza genetica in un antichissimo e sconosciuto gruppo di individui denominato “Eurasiatico Basale”, che rappresenterebbe la prima differenziazione tra gli Umani avvenuta circa 60mila anni fa.

Sembrerebbe, quindi, esservi corrispondenza fra i principali gruppi di popoli europei e le lingue più diffuse nel continente, eccezion fatta per le parlate celtiche che sono state interamente sostituite dalle lingue romanze appartenenti al ceppo latino: ciò probabilmente perché era la lingua dei Romani, che fra il I sec. a.C. e il V sec. d.C. conquistarono e dominarono l’Europa occidentale fino al Limes del Reno, ossia l’area di insediamento dei Celti. I quali erano già stati spinti a sud dalle migrazioni dei Germani scesi ad occupare la quasi totalità dell’Europa centrale dal I sec. d.C., ma respinti oltre il Limes del Reno e del Danubio dagli stessi Romani. Pertanto, le lingue romanze/neolatine (Italiano, Francese, Spagnolo, Portoghese) sono il prodotto della diffusione della “Res Publica Christiana in Pars Occidens” (come mostrato dalle cartine storiche De Agostini allegate al libro).

Una delle mappe più interessanti in circolazione è quella degli Aplogruppi di Dna (da cui si evince che fra gli Europei moderni esistono tre gruppi dominanti di cromosoma Y) che forniscono una valida spiegazione alla composizione delle popolazioni odierne:

  • l’aplogruppo I è comune in Germania, Paesi Bassi, Austria, Scandinavia, Italia, Sardegna e nei Balcani: ossia fra quei popoli europei di agricoltori/allevatori provenienti dal Vicino Oriente o dal Caucaso;

  • l’aplogruppo R1b è diffuso sulla costa atlantica dell’Europa occidentale, dalla Penisola iberica fino all’arcipelago Britannico e alla penisola dello Jutland, trova corrispondenza nei Celti (“megalitici”) raccoglitori/cacciatori di antica presenza;

  • l’aplogruppo R1a è presente in tutta l’Europa orientale, chiaramente individuabile negli Slavi discendenti del Siberiano, pastori nomadi di origine scitica.

Inoltre, i marcatori polimorfici (gruppi sanguigni, elettromorfi proteici, antigeni HLA) suggeriscono che l’Europa sia un continente geneticamente omogeneo tranne poche eccezioni quali i Sami/Lapponi, gli Islandesi e i Baschi: l’analisi delle sequenze di DNA mitocondriale evidenzia un alto grado di omogeneità fra i popoli europei, in quanto circa il 99% di essi appartiene agli aplogruppi H, I, J, K, T, W (essenzialmente confinati alle popolazioni europee), fra cui prevale l’aplogruppo H presente nella metà di tutti gli Europei. Dato confermato dall’analisi dell’RH nel sangue, che dimostra l’alta frequenza dell’elemento negativo fra Francesi e Inglesi, mentre esso è prevalentemente positivo nel resto del continente: peraltro, i Sami/Lapponi sono quasi esattamente intermedi tra popolazioni geograficamente vicine agli Urali (parlanti lingue uraliche) ed Europei cento-settentrionali (Germani), mentre gli Ungari e i Finnici sono senza dubbio più vicini agli Europei, in quanto la mescolanza tra gli antenati uralici ed europei è di ben il 90%. Insomma, si può dire che gli Europei sono tutti “fratelli”!

Questa considerazione rafforza il concetto di integrazione europea, nel senso di riunire quei popoli apparentati che dimostrano origini etniche, culturali e storiche comuni, e può tornare utile nel momento in cui si parli di difesa comune o di mettere in condivisione settori strategici quali l’economia, la finanza, il commercio internazionali, l’agricoltura, l’ambiente, l’energia o la ricerca: ciò di cui normalmente si occupano le “politiche comunitarie” definite nei Trattati dell’Unione Europea. Ove è stabilito anche di procedere col metodo della sussidiarietà, proprio per rispettare le varie autonomie locali (ossia le Aeternitas di cui parlo nel libro) che, come visto, hanno antichissima origine.

Su questo punto le interpretazioni sono ancora divergenti e conflittuali: se alcuni si rifiutano di valutare la possibilità di una comune cultura o sede di formazione degli Europei, per altri è importante sottolineare il concetto di Indoeuropeo, che non può essere scisso da quello più generale della caratteristica somatica che li accomuna a tutti i Caucasici o al biondismo diffuso anche fra le popolazioni uraliche/caucasiche. Per non parlare del riferimento all’antica tradizione Arya (che molti negano persino essere mai esistita), la cui civiltà sarebbe genitrice/matrice di quella europea nel suo complesso (indoeuropea), come di quella iranica, centro-asiatica (Stan) e indiana.

Secondo i linguisti, la famiglia indoeuropea costituisce un’unità ben definita, anche storicamente, dalla comunanza d’origine e dalla condivisione di un linguaggio “protoindoeuropeo”: una “Ursprache” successivamente disarticolatasi in sotto-unità (lingue romanze, celtiche, germaniche, slave, greco-albanesi e ugro-finniche, appunto) quando una parte di quelle popolazioni si mossero a oriente della Vistola, andando probabilmente a costituire il primo nucleo delle lingue “satem” (Baltici, Slavi, Iranici, Indoarii), mentre il ramo “kentum” (Celti, Italici, Germani, Elleni) dovette residuare da coloro che invece rimasero ancora nelle sedi nordeuropee.

Lasciando perdere le origini preistoriche dei gruppi umani (su cui esistono diverse teorie contrastanti, ma scarsamente documentate), dalla tradizione mitologica e dal patrimonio culturale sappiamo che i popoli europei apparentemente fratelli provenienti da Oriente, una parte dal Caucaso l’altra dalla Scizia, si sono stanziati più o meno stabilmente sul continente europeo in via di emersione dai ghiacci del wurmiano e dalle acque che evidentemente avevano ricoperto le immense pianure settentrionali, fra lo Scudo Scandinavo e le Alpi: su quei rilievi si sistemarono i popoli germanici e quelli mediterranei, mentre le terre riemerse divennero appannaggio di Celti e Slavi, in età arcaica precristiana.

A partire dal I secolo d.C., iniziarono le migrazioni verso sud dei Germani e dei Goti che si scontrarono con l’Impero Romano per secoli, fino a occuparlo stabilmente dal V d.C. approfittando del caos provocato dalle orde dei cd. “popoli delle steppe”, che per millenni sono entreranno dall’Asia invadendo i Balcani, la Pannonia, la Sarmatia e compiendo numerose incursioni anche in Pars Occidens. Nel IX d.C., infine, altre migrazioni avvennero da nord (Vichinghi) e da est (Magiari), dopodiché la situazione etnica europea si è stabilizzata a quella attuale.

A conclusione, va aggiunto che la scuola dei filologi di Tubinga riuscì a scoprire nei nomi “vecchio-europei” dei fiumi un’origine riconducibile ad un primitivo strato indoeuropeo, che sarebbe stato precedente alle popolazioni “storiche” (Italici, Germani, Greci, Celti, Slavi, etc.): alla luce di tali risultanze, ormai accettate quasi unanimemente dai linguisti, si comprende perché i Romani presero a nominare le province conquistate coi nomi delle tribù ivi stanziali, prassi poi continuata per tutto il Medioevo ovunque in Europa. Nomi che oggi ritornano in molti degli stati nazionali originatisi direttamente dai popoli che li abitano da sempre, che nel XX secolo hanno fondato l’Unione Europea. Ad ulteriore rafforzamento delle proposte politiche per una “Europa dei Popoli” o “casa comune” dei popoli Europei fratelli.

 

Per comprendere meglio questo articolo è utile consultare le APPENDICI al Libro prodotte dall’Autore, che trovi nel Catalogo, e le Cartine Storiche De Agostini allegate al saggio.

 

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STORIA DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA IN 2500 ANNI

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