L’Unione Europea è un’organizzazione internazionale fondata sui Trattati istitutivi, sottoscritti dagli stati aderenti nel corso del processo di integrazione europea iniziato dal secondo dopoguerra. La prassi di definire le questioni comuni continentali attraverso trattati universali (di pace) è iniziata nel XVI secolo, a seguito della Protesta e dei conflitti religiosi che portarono l’Europa alla crisi sistemica, poi risolta in parte dal Trattato di Westafalia con cui nacque lo Ius Publicum Europeum. Ma la tradizione del diritto europeo è antichissima e risale alle civiltà che sono l’origine e il fondamento dell’Europa odierna, da tanti punti di vista.
Le prime norme scritte appaiono nelle Costituzioni delle antiche Πόλις greche di Atene, Agrigento, Argo, Delfi, Egina, Delfi, Itaca, Cipro, Corcira, Corinto, Creta, Cuma, Locri, Massalia, Megara, Mileto, Siracusa, Sparta, Taranto, etc., codificate da autori individuali (Licurgo, Solone) o dalle agorà pubbliche cittadine, raccolte ed elencate da Aristotele nella sua scuola di filosofia “liceo peripato”. La concezione greca della vita e quindi della legge era molto connessa alla Natura e all’etica dominante nel pensiero del tempo, indifferentemente si trattasse di una Repubblica o di un Regno (Monarchia) o di un regime dispotico o democratico. In ogni caso, il fondamento di concetti importanti per l’integrazione socio-politica, quali “bene comune” e “comunità politica”, provengono da quell’età.
Nel Diritto romano, invece, emersero le forme giuridiche più comuni nella sfera pubblica (Ius Publicum) e nelle relazioni fra Cives (Ius Privatorum), sia sui temi della famiglia, dei contratti e delle obbligazioni. La Lex era il fondamento della Civitas e dell’organizzazione della vita in comunità, espressione dello Ius sacrum et iustus di origine naturale, pur se emanata dagli organi istituzionali della Res Publica secondo le regole tradizionali, scritte e condivise. La gestione della “cosa pubblica” era affidata a Magisteres eletti dal Populus e dotati di potestas e finanze, tutti assoggettati all’Auctoritas Senatus o allo Iudex del processo pubblico fra parti con sententia finale. Nello sviluppo delle autonomie politico-amminsitrative antiche (vedi articolo precedente), dunque, si rafforzava il diritto quale strumento di mediazione e controllo sociale.
Il Corpus normativo romano diventerà la base giuridica dell’Imperium per i secoli a venire, anche durante la fase delle invasioni barbariche (vedi articolo) e i successivi regna autonomi, organizzati secondo il diritto bizantino contenuto nel Codex giustinianeo (534 d.C.): esso era una raccolta di Constitutiones, Leges regia o de imperio, Edictum e Leges Senatus (o “Senatoconsulto”) emanate in età imperiale, cui si aggiunsero le Novelle di Giustiniano, il Digesta jura, una sintesi dell’antica dottrina giuridica romana, e le Institutiones, che regolavano i rapporti fra potere legislativo e le Auctoritas riconosciute dalla legge. In quei secoli vennero prodotte pure numerose raccolte di leggi germaniche (Lex Burgundiorum, 501; Lex Salica, 511; Edictum Rotari, 643; Lex Visigotorum, 654), misto di consuetudini barbariche soprattutto in ambito privato e norme generali tratte dal Codice giustinianeo (es. Ius Gentium), con nuove norme imposte dai principi e dalla prassi giurisdizionale della Chiesa cristiana.
Ciò da quando Costantino aveva assegnato poteri giudiziari ai Vescovi nelle Diocesi, nella riforma dell’Impero Cristiano (vedi l’articolo), formalizzata da Teodosio II con la Constitutione Imperium, poi definitivamente sistemata da Giustiniano nell’ambito della Ecclesia Christiana. Un’entità ormai tutt’uno col potere temporale, seppur separata sia sul piano organico (clericales) che su quello normativo. Infatti, la Chiesa romana iniziò a emanare norme proprie (ecclesiasticus) per descrivere l’etica cristiana da attuare nella vita comune, pena il “giudizio di Dio” tramite i suoi sacerdoti. Un’azione tanto pervasiva che nell’Alto Medioevo i giuresperti ordinati divennero giudici, notai e retori sui negozi giuridici fra civili in tutto l’Impero carolingio.
I luoghi dove vennero conservate le leggi canonicali e i decreti papali erano monasteri e collegiate, che tra l’altro riprodussero anche l’antica cultura classica e romana, le Sacre Scritture e la letteratura tramandata dai tempi più remoti, come moderne biblioteche universali specializzate nelle Artes Libererales della Sapienza epistemologica e nella Sophia esoterica. In epoca cristiana, si iniziò a parlare di Iustitia quale espressione della legge consuetudinaria, oppure dell’etica cristiana desunta dai Libri sacri o dalle opere dei Maestri e Padri della Chiesa. Fu uno dei passi più importanti per la storia dell’integrazione europea.
Con l’avvento della rivolta ecclesiale (leggi articolo), i Papi cercarono di impugnare la legge umana auto-collocandosi al vertice della Gerarchia della genealogia regale cristiana europea. Per cui iniziò un’attività di decretazione e di codificazione di editti, capitula, codici e decreti di varia origine, soggetti anche all’esegesi per confrontare le norme più antiche con quelle del tempo, tali da contrastare l’onnivalenza del Diritto Romano. Ne venne fuori il Diritto Canonico, in alternativa alle antiche leggi imperiali, ai codici misti romano-barbarici e agli ius proprium codificati nei diversi ducati e feudi in cui si frazionava il Reich: col Decretum Graziani (1140) si lanciava la sfida, raccogliendo norme ecclesiastiche consuetudinarie e testi delle Sacre Scritture interpretati secondo i criteri del giudizio cristiano dei Pontefici. Seguirono, quindi, le Compilationes inviate all’Università di Bologna per confrontarle col progetto analogo dell’imperatore Federico I Barbarossa, che invece stava riesumando l’antica dottrina del Dominium Mundi. All’acume della guerra guelfi-ghibellini, Papa Gregorio IX emanò il Liber Extra (1234) per imporre un codice unico, onnicomprensivo e testuale all’intera Ecclesia Christiana, fondato su norme e decretali ecclesiastiche: l’operazione non ebbe successo e condusse alla convivenza di diverse fonti normative, col principio “utrumque ius” che imponeva la scelta fra il codice canonico o quello civile nelle questioni private.
Si entrò così nell’epoca del Diritto Comune (Common Law), basato sulle consuetudini e sulla prassi scritta, sulla figura dei giuristi e della Giustizia assoluta, attraverso i consulti e le applicazioni della scientia del Diritto insegnata dai Dottori di Bologna e, quindi, nelle prime grandi Universitas pubbliche europee (Montepellier, Tolosa, Orleans, Lerìda, Padova, Napoli, Roma, Parigi). Ove insegnavano molti clericali, in regime di autonomia organizzativa e di insegnamento, che daranno forma alle strutture tutt’oggi esistenti nelle università europee dei Collegi docenti, dei titoli di Laurea, dei Collegia nationes per studenti e del Senato interno, che sceglie Professori, corsi ,materie, etc.
Dall’arte dell’insegnamento del diritto si giunse alle Lecture magistralis, alle Questia pubbliche, alla Didactica, alle Summe, alle Glosse, all’Incerto e ai Commentaria: tutti strumenti letterari con cui si innovò il diritto durante il Medioevo e il Rinascimento, grazie all’opera di grandi giuristi come Irnerio, Accursio, Azzone, Odofredo. Epoca in cui venne formalizzata la Pandettistica, che si rifaceva all’ordinamento naturale e ad un sistema giuridico formale incentrato sull’etica cristiana e la volontà divina espressa dalle supreme auctoritas. Nacque così il sistema giuridico delle fonti e si ridefinirono le norme della Teologia regale cristiana per adeguarle ai tempi, ricorrendo ad antichi brocardi romani o a concezioni religiose più tradizionali, per riconfigurare le posizioni giuridiche (persona ficta) dei regni dinastici e indipendenti formatisi a partire dal XIII secolo (vedi Sommario Parte II).
Si rimase nell’ambito del Diritto Privato anche nella gestione della sfera pubblica, perché comunque attinente alla proprietà dei feudatari in una società tradizionale divisa in caste e organizzata secondo rapporti personali di dominio (Feudalesimo), mentre le norme pubbliche si ispiravano alla res sacra, all’antica tradizione del Divus Rex Lex animata e al Cristianesimo, che santificava ruoli e norme in nome di Dio (cd. “Diritto divino”). Col sopraggiungere dell’Umanesimo la filologia del diritto lo trasformò in “scienza esatta” (Positivismo), nell’ottica dell’Uomo prevalente su ogni altra entità, alla ricerca della laicizzazione delle norme e delle istituzioni. Ma tornò in auge il Diritto Naturale grazie alle concezioni di Leibnitz e di Vico sul razionalismo e sulla storicità delle fonti, che tuttora informa le dottrine giuridiche moderne (“honeste vivere”, “neminem ledere” e “suum cuique tribuere”) in un sistema di norme senza eccezioni, logico, valido e organico.
Tutto cambio dal XVIII secolo, in correlazione alle rivolte religiose, politiche e civili della Modernità e all’evoluzione del quadro economico e geopolitico dovuta alle “grandi scoperte”: dapprima, le “consolidazioni” nei regimi assolutisti, col Giudice ritenuto sacro come il sacerdote; quindi, durante le rivoluzioni si afferma la “legge uguale per tutti” e la certezza delle pena; seguirono i Codici nazionali di leggi civili omogenee; quindi le Codificazioni e le Costituzioni, ossia nuovi ordinamenti giuridici cristallizzati sulle casistiche a disposizione delle argomentazioni dei giuristi; infine, coi Testi Unici si arriva alla sistematizzazione delle norme, dei principi e dei diritti in modo astratto, senza più riferimenti alla tradizione o alle consuetudine.
Nel XX secolo di torna alla Decodificazione, alle leggi generaliste settoriali e limitanti, a deroghe e sentenze che abrogano le leggi in virtù di principi interpretati, con una proliferazione di leggi ordinarie, regolamenti e norme speciali che, infine, lasciano “lettera morta” le leggi fondamentali degli stati moderni. Col Diritto Comunitario e le “norme emergenziali” di quest’ultimo periodo, il ribaltamento delle fonti e delle regole giuridiche è pressoché totale. L’Europa Unita non si fonda più sul diritto bensì sul potere economico-finanziario: probabilmente, entreremo in un nuovo Medioevo, sia sul piano normativo che nei rapporti fra le istituzioni e i cittadini, dominato dalla burocrazia informatizzata “distanziata“ (vedi articolo) e dagli interessi privati dei grandi potentati. Mentre per completare il processo d’integrazione europea servirebbe invece un sistema giuridico più propenso alla tutela degli aspetti pubblici e superiori.
Consiglio questo importante testo sulla storia del diritto europeo
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