LE AUTONOMIE LOCALI NELL’EUROPA INTEGRATA

autonomie locali

Durante la crisi generata dal Covid-19 in Italia è riemerso prepotentemente il ruolo di rilievo delle regioni, ed in generale delle Autonomie Locali, nell’affrontarla e contribuire alle decisioni collettive. La Conferenza Stato-Regioni, che non ha nemmeno rilevanza costituzionale, è divenuta lo strumento politico idoneo per mediare fra le esigenze delle comunità locali e le volontà superiori e/o internazionali. Anche i Comuni italiani hanno assunto importanti incarichi di responsabilità, sia nella fase dei controlli sanitari che nell’organizzazione logistica/operativa dell’emergenza. Non era scontato che ciò avvenisse e che l’organizzazione politico-burocratica nazionale funzionasse, e a dire il vero non ha fatto miracoli…

In ogni caso le Autonomie Locali, che negli ultimi anni erano diventate per l’opinione pubblica sinonimo di disservizio e inefficienza (tanto che molti pensano di abolirle del tutto!), hanno recuperato la loro antica funzione di aggregazione dei cittadini e di consiglio/consulto alle entità politiche di grado superiore. Parliamo essenzialmente delle Città, dei Comuni e delle Regioni (o Province) che, ovunque in Europa, rappresentano le istanze più antiche di autonomia e di Πολιτεία della storia dell’integrazione europea.

La prima forma di Comunità politica organizzata nella storia d’Europa fu la Πόλις greca, ordinamento giuridico fondato solitamente su una costituzione scritta e sulle leggi consuetudinarie, tramandate nei tempi, che conferivano indipendenza esterna e organizzazione politica interna utili a gestire il “bene comune” nell’interesse di tutti. La storia della Grecia antica è ricolma di città-stato in continua guerra tra loro e spesso alleate in leghe/alleanze difensive, nelle quali però le singole città apparivano sempre autonome nella decisione politica e nell’agire. L’esempio più eclatante furono le Guerre Persiane, che spinsero la gran parte delle numerose città elleniche a unirsi contro il nemico comune, seppur conservando la propria identità politica.

La nuova esperienza di autonomie locali si formalizzò nell’infinita storia dell’Impero romano-bizantino: quando la Res Publica romana (una Politeia latina) iniziò il vasto programma di costruzione dell’Europa Unita, fondò numerosissime nuove città, cui fornì ordinamenti giuridici diversi ma in buona sostanza informati ad un sostanziale grado di autonomia politico-amministrativa. Era il caso dei Municipia, delle Colonie e delle Province, solitamente istituite con una legge speciale (Lex Data) emanata dal Senatus (in seguito dall’Imperatore in persona), che nel corso del Medioevo ebbero la rilevanza giuridico-politica della Persona Ficta in aeternum (vedi il mio saggio Sommario Parte III).

Con l’avvento del Cristianesimo, furono le Civitas autonome dell’Impero ad ospitare le Comunità cristiane (dette “Ecclesiae”), che spesso raggiunsero una forza e una consistenza politica autonoma tale da soverchiare le istituzioni pubbliche imperiali: si addivenne così ad un compromesso con la riforma di Costantino I, il quale riorganizzò il sistema amministrativo imperiale riportando Civitas e Province (e le Colonie rimanenti) sotto l’Auctoritas dei Vescovi posti a capo delle Diocesi, il grado più elevato di frazionamento dell’Imperium (IV d.C.). Da allora il termine “christianòs” non indicò più una minoranza perseguitata per motivi di culto, bensì fu sinonimo di cives romanum. Tanto che da lì in avanti si parlò di “Impero cristiano”, rinnovato nei secoli dall’Impero carolingio, dal Reich, dalla Basileia bizantina e, infine, dallo Zarato russo, nel lungo millenario processo di integrazione europea.

Nel corso del Medioevo, la cristianizzazione dell’Europa portò alla fondazione di nuove Città (sedi vescovili), Contee, Ducati e Marchesati per amministrare le numerose comunità etniche locali nate dalle invasioni barbariche fra i secoli V e IX, perpetuando così l’organizzazione amministrativa dell’antico Impero rinnovato dalla forza aggregante religiosa. Se queste istituzioni furono rette da membri delle genealogie europee cristiane, altre autonomie locali emersero per volontà dei Cives (Comuni) o in virtù degli eventi (Borghi), necessitando di nuovi ordinamenti giuridici e rapporti di potere con le entità superiori.

Così, nel tardo Medioevo e in età rinascimentale sorsero forme di coordinamento di grado superiore, all’interno dei nascenti stati moderni negli antichi regni dinastici, a tenere insieme un variegato spettro di enti locali più o meno autonomi (con relativi codici di leggi o norme consuetudinarie “propri”): furono il caso delle Diete, delle Corti, delle Camere, delle Corone e di tutti gli altri strumenti normativi utilizzati dai sovrani per controllare i propri domini/regni e preservarne l’unità e l’indipendenza.

L’organizzazione multi-livellare del potere e dell’amministrazione si conservò anche durante i secoli dell’età moderna, pervenendo pressoché simile nell’Europa Unita attuale. Non è difficile, infatti, riconoscere nelle Autonomie Locali degli stati europei odierni quelle entità infra-statuali antiche, perenni, eterne, che l’antico Codex elencava col termine di Aeternitas (vedi il mio saggio Sommario Parte V): oltre alle regioni storiche più famose d’Europa (Fiandre, Olanda, Catalogna, Provenza, Sicilia, Baviera, Boemia, Slesia, Carinzia, Moldavia, Macedonia, Livonia, Skania, etc.) o alle città più grandi e antiche (Roma, Atene, Parigi, Saragozza, Lovanio, Amburgo, Augsburg, Chur, Vienna, Venezia, Split, Sarajevo, Istanbul, Costanza, Pecs, Nitra, Gniezno, Uppsala, etc.), l’intero continente è ancora oggi frazionato in Comuni, Città, Province, Regioni o Länder in continuità storica, geografica e politica con le antiche autonomie locali.

Tanto che quasi tutti gli stati membri dell’UE hanno un organo di rappresentanza per le autonomie locali (Camere delle Regioni, Conferenza Stato-Regioni, etc.). Alle quali anche l’ordinamento del Diritto comunitario prodotto dal processo di integrazione europea ha dovuto adeguarsi, includendovi il Comitato delle Regioni (con funzioni limitate/consultive) e realizzando un’apposita Politica Comune Regionale che ha obiettivo la solidarietà fra regioni e aree economiche europee, in modo tale da aumentare il grado dell’integrazione europea. Inoltre, il modello politico dell’UE è certamente improntato al Federalismo, fondato su quel Principio di Sussidiarietà che contribuisce a far funzionare la complessa Burocrazia comunitaria.

In conclusione, si può affermare che le autonomie locali sono il fondamento della storia dell’integrazione europea! La prospettiva europeistica che, presumibilmente, sarebbe anche in grado di spegnere le istanze di secessione sempre più forti in molti angoli d’Europa e rafforzare, così, la stabilità politica degli stessi stati membri, dovrebbe tenerle in gran conto riconoscendone la specifica identità e il peso “politico” nelle istituzioni di più alto grado. In modo da conciliare meglio il sistema decisionale centralizzato che ha sede a Bruxelles con le necessità locali. In concordia felicitas.

 

Per comprendere meglio questo articolo è utile consultare le Appendici al Libro prodotte dall’Autore, che trovi nel Catalogo, e le Cartine Storiche De Agostini allegate al saggio.

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Storia delle autonomie locali

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STORIA DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA IN 2500 ANNI

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