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L’AUTARCHIA DELL’EUROPA

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Nella vicenda prioritaria dell’agenda politica internazionale inerente la crisi di guerra in Ucraina, emerge uno degli argomenti più dibattuti, che ha connessioni dirette con la storia dell’integrazione europea e con l’Europa Unita, con inevitabile incidenza sul futuro dell’Europa, ossia l’autarchia della comunità dei popoli e degli stati europei.

Questo era certamente il progetto dell’integrazione europea iniziata negli Anni ’50 del XX secolo con l’istituzione delle “comunità europee” per condividere benefici e oneri della produzione dell’acciaio, del carbone e dell’atomo (CECA ed Euratom). Non a caso, ho citato alcuni degli issues centrali nel dibattito europeo odierno, nell’ambito del programma di conversione dell’UE denominato “Green Deal”. Cui si sono aggiunti recentemente,  con l’attuale Commissione, le Politiche Europee per lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale e per la deregulation in materia di aiuti di stato al settore dei microchips.

Provvedimenti che tentano di rimediare alla carenza di visione strategica dell’Unione Europea rispetto agli scenari di politica internazionale che mutano rapidamente e che al momento vedono una potenza economica globale indifesa e imbelle, incapace di fronteggiare crisi politico-militari ai proprio confini (come quella dell’Ucraina o della Libia) o di elaborare nuovi percorsi credibili, senza violare sistematicamente i Trattati dell’Unione Europea nonché le più banali norme di democrazia e di diritti umani che la nostra civiltà ha la presunzione di “esportare” nel mondo.

Le ultime decisioni del Consiglio Europeo vanno certamente nelle direzione di dare maggiore consistenza al Mercato Unico, che fu ed è ancora la base solida su cui fonda l’intero processo di integrazione europea. Ma appaiono condizionate dai soliti interessi nazionali degli stati membri (se non addirittura dagli interessi dei leader o dei partiti politici di riferimento…) e dall’incapacità di uscire dalla comfort zone e guardare anche alla tradizione della storia dell’integrazione europea, per trovare eventualmente le risposte più idonee alle sfide del presente e del futuro.

Infatti, rileggendo le vicende dell’integrazione europea dai tempi più antichi, si può riscontrare come più volte gli Europei si siano alleati per fronteggiare un nemico alle porte (dai Persiani ai Saraceni, dai Mongoli/Tartari ai Turchi, fino alla minaccia sovietica del secolo scorso), riuscendo sempre a fermarne l’avanzata e a respingerlo. Se oggi il pericolo è un’ipotetica invasione russa, se non addirittura un attacco nucleare, può essere affrontato solo con l’intervento della Nato. Che però è un organismo di difesa collettiva che include molti stati “non europei” e quindi non molto interessati alle nostre problematiche di sicurezza (a cominciare dagli Stati Uniti).

Negli Anni Cinquanta vi fu un tentativo di organizzare un Sistema di Difesa Comune degli stati aderenti alla Comunità Europea, nell’ambito dello schieramento occidentale nel confronto bipolare e globalizzato col mondo socialista orientale. Ma venne affossato dalla Francia e non se ne parlò più. Le strutture militari di difesa collettiva odierne dell’UE son puri esperimenti che non convincono e non sono mai entrati in funzione. Per non parlare della Politica Estera Comune, prevista dai Trattati UE e rimasta “lettera morta” pur provocando conseguenze nefaste per l’intero continente. Lo si nota anche nella crisi ucraina, dove sono i capi di stato e i ministri agli esteri di Francia e Germania a trattare col “nemico” russo, soverchiando totalmente l’Alto Rappresentante UE scelto e istituito proprio per gestire queste questioni.

Altro punto essenziale della “nuova strategia” autarchica europea riguarda l’energia e la sua politica di approvvigionamento. Nel ribadire che il processo di integrazione europea iniziò proprio per questo motivo, si resta basiti nel sapere che il principale fornitore di gas metano sia proprio il “nemico” russo, mentre per il petrolio invece si ricorre alle fonti arabe o della Norvegia (che non è membro UE), pensando che le principali company globali del settore sono europee…quando nel nostro continente son disponibili fonti e giacimenti di energia rinnovabile o fossile da sempre! Ma se ne sono accorti solo adesso e quindi si “corre” verso l’autarchia energetica o al servizio alternativo degli Usa (in modo da tornare in realtà a dipendere da altri soggetti sovrani). Da quando è cominciata la “rivoluzione tecnologica” dei microchips, l’Europa ha progressivamente rinunciato alla sua fonte energetica primaria interna, il carbone (per cui f fondata la Ceca, che avviò il processo d’integrazione europea), e non ha mai sviluppato una sua tecnologia nucleare (idem come sopra), che però viene prodotta da molti degli stati membri e dalle principali potenze economiche globali.

Il settore su cui l’UE dice di voler procedere ad un ulteriore rafforzamento interno di autarchia è l’agricoltura. E qui verrebbe quasi da ridere, ripensando alla più antica tradizione economica della storia dell’integrazione europea e alle recenti politiche di settore attuate dalla Comunità Europea, sia nel mercato interno che rispetto agli scambi col resto del mondo. Dopo aver agevolato in tutti i modi i prodotti di peggior qualità provenienti da ogni angolo della Terra (si consideri che si tratta di prodotti a rapido deterioramento), a discapito del vastissimo assortimento dei prodotti naturali coltivati da sempre nei terreni della fertilissima Europa (o nei suoi pescosissimi mari), e sottoscritti trattati per importare prodotti ogm da altri paesi, i leader europei si accorgono che senza i beni alimentari primari (quindi inclusi anche quelli derivanti dall’allevamento e dalla pesca) il futuro del popolo europeo è a rischio.

La solita soluzione proposta ora è quella di sottrarre ulteriori competenze agli stati membri sovrani per delegarle all’UE, che però le gestisce male e in modo inefficiente sprecando enormi risorse e ricchezze economiche e culturali. Accentrare le forniture di energia, dei prodotti alimentari e dei materiali necessari a sviluppare l’ennesima rivoluzione tecnologica (artificiale), quando si lascia la leva finanziaria in mano ad un soggetto incapace di fronteggiare esigenze di investimento e di copertura del debito della più ricca e sviluppata civiltà del pianeta, lascia dubbi profondi. Questo “vizio” è nato agli albori dell’età moderna, quando gli stati sovrani han preso a fare esosi debiti coi banchieri del tempo (che non a caso son diventati potentissimi, quasi onnipotenti, entità globali) rinunciando a funzioni o ricchezze materiali che, invece, appartengono agli stati stessi e quindi ai relativi popoli.

Tutto ciò ha poco a che vedere con la tradizione e con la storia dell’integrazione europea, ma soprattutto rischia di portarci su sentieri senza ritorno che ancor meno hanno a che fare con l’autarchia paventata. Lontani anche dalle ipotesi del “modello di Triffin”, su cui l’attuale UE si fonda, il futuro dell’Europa Unita appare sempre più fosco. Una reale situazione di autarchia economica e militare aprirebbe scenari che spaventano i leader europei attuali e le altre potenze globali. Mai come oggi “audere aut morire!” (o se preferite, “audaces fortuna iuvat”).

 

Per comprendere meglio questo articolo è utile consultare le Appendici al Libro prodotte dall’Autore, che trovi nel Catalogo, e le Cartine Storiche De Agostini allegate al saggio.

 

Per approfondire il tema trattato

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dell’Europa
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1 – come-nasce l’Unione Europea e cosa potrebbe diventare

2 – quale Europa per il futuro?

3 – l’Europa deve recuperare il suo patrimonio culturale

4 – il processo di integrazione europea allarghi l’orizzonte

19 – l’economia nella storia dell’integrazione europea

 

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Per conoscere il libro

STORIA DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA IN 2500 ANNI

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